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Validare le nostre emozioni

Validare le nostre emozioni

Meditazione guidata n°42

Come sto in questo momento?

Se la risposta è già chiara, semplicemente stiamo con la risposta, onoriamo quell’emozione, qualsiasi essa sia.
Se quello che sentiamo è un groviglio e le emozioni sono più di una e non chiare, onoriamo quel groviglio e quelle emozioni.
Se ancora non c’è nulla che mi faccia rispondere alla domanda come sto?  va bene, accetto, sto, anche con la possibilità di non sapere. 

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Iniziamo, come sempre, cercando la nostra posizione comoda.
Se siete seduti, vi chiedo di prestare attenzione ai piedi e alle gambe, quindi di tenere i piedi bene appoggiati a terra e le braccia semplicemente appoggiate sulle vostra cosce. Fate attenzione anche alla posizione della schiena, a non inarcarvi. Di solito si consiglia di non appoggiarsi allo schienale ma di tenere la schiena dritta e non rigida. Trovate comunque una posizione confortevole. Se per qualsiasi motivo avete bisogno di appoggiare la schiena fatelo, fate solo attenzione a non ingobbirvi.
Se siete invece in una posizione sdraiata, lasciate andare la punta dei piedi verso l’esterno, le mani lungo il corpo. 

Iniziamo a prendere consapevolezza del nostro corpo, degli stimoli che ha in questo momento. Magari c’è qualcosa che ci dà fastidio, forse c’è prurito, forse c’è un po’ di irrequietezza. Chiediamoci come stiamo in questo momento. Proviamo a sentire, ad esempio, se c’è tanta o poca energia. Magari, se c’è tanta energia respiro e a ogni espirazione immagino di lasciar andare, di scaricare tensioni, accumuli. Se invece sento che c’è bassa energia, posso inspirare immaginando di aumentarla, di ritrovarmi, di chiedere e ricevere altra energia. 

Poi torniamo a chiederci Come sto in questo momento?
Potrebbe esserci un’emozione, una parola chiara per descrivere come ci sentiamo, oppure potrebbe esserci il nulla, il non sapere. Potremmo sentire che stiamo ma non saper trovare una parola o un’emozione, oppure potremmo semplicemente non avere idea di come rispondere a questa domanda. Proviamo a ripetercela e a fare un immaginario passo indietro rispetto alla nostra mente e ai nostri pensieri, a creare uno spazio dove lasciar emergere la risposta. 

Come sto in questo momento?

Se la risposta è già chiara, semplicemente stiamo con la risposta, onoriamo quell’emozione, qualsiasi essa sia.
Se quello che sentiamo è un groviglio e le emozioni sono più di una e non chiare, onoriamo quel groviglio e quelle emozioni.
Se ancora non c’è nulla che mi faccia rispondere alla domanda come sto?  va bene, accetto, sto, anche con la possibilità di non sapere. 

Posso aiutarmi portando le mani sul corpo e provando a indagare le varie parti toccandole.
Posso portare le mani alla pancia, chiedermi Come sta la pancia? È molla, è rigida, è piena, è vuota, è calda, è fredda, c’è un colore, c’è una forma, c’è uno spessore oppure è una pancia fumosa, volatile?
Poi posso poggiare le mani sul cuore e fare le stesse domande. Come sta il cuore? Com’è il cuore? È aperto, chiuso, caldo, freddo, fragile, forte, piccolo o grande, è spesso o sottile, è vicino alle mie mani o lontano?
Poi posso portare le mani alla gola e di nuovo indagare Come sta la mia gola? È aperta o chiusa, è rilassata o in tensione, è ampia o stretta, è libera o occupata?
Questo può essere fatto anche in altre parti del corpo. Magari c’è qualche altra parte che sentiamo di voler indagare. La risposta al come sto, può essere anche con la gola un po’ rigida, con lo stomaco un po’ pensante, con la sensazione di pancia vuota.

Onoriamo le nostre risposte al come sto. Significa non cercare di stare bene, non cercare di cambiare, non cercare di modificare, perché entrare già nel meccanismo di trasformazione ci fa perdere quello di validazione dell’emozione così com’è, diventa un bypass. Validare come stiamo non è affatto facile, anche perché spesso quello che accade è che tendiamo a giudicare come stiamo, a dirci, ad esempio, che non dovremmo sentirci così, e che se ci sentiamo così significa che c’è qualcosa di sbagliato in noi e qualcosa che va sistemato. Queste sono costruzioni della mente che bypassano l’esperienza, perché non la sentiamo più, e cercano di cambiarla. Cercando di cambiarla creano una frizione, una tensione tra noi e l’esperienza o l’emozione e diventa molto molto stancante. 

Basta pensare a quando ci capita di aver voglia di piangere e invece di sentire il pianto, di lasciar andare le lacrime, ci lasciamo prendere dal ragionamento: perché mi sento così, cosa sta succedendo? Oppure addirittura ci diciamo Non piangere, ci distraiamo, cerchiamo di trovare sollievo, cerchiamo di cambiare e modificare quello che proviamo senza passare dalla validazione. È una cosa che impariamo, impariamo anche con il tempo. Basta pensare a quando da bambini ci siamo sentiti direi Non piangere oppure Va tutto bene – Non è successo niente, stai bene – È  tutto a posto, non c’è neanche sangue. Oppure frasi ancora più forti, come Non devi piangere, chi piange è debole. Questo tipo di interventi, anche se fatti con tutto l’amore, per tentare di arginare il dolore e la sofferenza, la paura o lo spavento, sono poi degli interventi che negano quell’emozione che si sta provando in quel momento, non c’è lo spazio o la possibilità di esplorarla. Non ti sei fatto niente, è tutto a posto. È una cosa che accade poi anche tra adulti. Cosa succede se qualcuno vi vede piangere? Spesso c’è difficoltà nel reggere una persona adulta che esprime le sue emozioni: Non fare così – Vedrai che andrà meglio -È tutto a posto – Spiegami cosa c’è.
È quello che impariamo da piccoli, ci portiamo avanti da adulti, interiorizziamo e facciamo anche con noi. Ce le diciamo da soli queste frasi. Cominciamo a dirci Perché devo sentirmi cos? Non c’è nessun motivo, va tutto bene. Dovrei sentirmi in un’altra maniera, quindi ho qualcosa che non va.
Il campanello d’allarme è quella frase: dovrei sentirmi divers*. Quella frase non ci permette di validare le nostre emozioni. 

Molto spesso, l’idea di validare l’emozione e creare uno spazio per riconoscere l’emozione, darle un nome se possibile, sentirla nel corpo, diventa una cosa impossibile. Abbiamo paura che se io mi lascio andare alla rabbia o mi lascio andare alla tristezza non ne uscirò mai più. Questo tipo di paure fa proprio parte del processo di tendenza a negare quello che sentiamo, soprattutto le emozioni più difficili. C’è questa idea per cui sentiamo che non sia sicuro sentire fino in fondo certe emozioni. In alcuni casi si può chiedere aiuto e si può imparare a stare con le emozioni più difficili insieme a qualcun altro, qualche persona che ci accompagni in questo viaggio di riscoperta e di nuova relazione con quello che proviamo. In altri casi, si tratta di accorgersi che non stiamo validando le nostre emozioni, fermarci, trovare lo spazio e la tranquillità per ascoltare quell’emozione, darle un nome e sentire dov’è e com’è nel corpo. 

A questo punto lo posso dire ad alta voce, posso dire Io mi sento triste – Io mi sento ansios* – Io mi sento pien* di rabbia. Dare voce a quell’emozione, validandola, permettendomi di sentire quello che c’è.
Mi sento così e va bene sentirmi così.

Cosa succede con questo tipo di processo? Che si alleggerisce quella tensione, si alleggerisce quella frizione che si crea quando non validiamo quello che proviamo, quando fuggiamo o quando ci diciamo Non ho ragioni per stare così – Non va bene che io mi senta così – Sono sbagliat* – Devo cambiare, devo farmi aiutare o qualsiasi altra formula. Creare lo spazio per dire Io ora mi sento così e va bene che io mi senta così è creare uno spazio che ci aiuta a liberarci da quel loop e da quella tensione, perché quello che accade è che, molto spesso, stando nella testa la situazione si ingigantisce, il groviglio cresce, aumenta la confusione, aumenta anche la realtà e la compattezza, la solidità di quella che magari è un’emozione, una semplice emozione che come viene va, ma noi la blocchiamo, la incateniamo con i pensieri e la facciamo diventare sempre più grande, sempre più reale, sempre più tutta noi. 

La meditazione, o la pratica della meditazione, ci insegna che non siamo i nostri pensieri ma possiamo osservarli. Per farlo, è necessario però distaccarci da quei pensieri, diventare il cielo dietro le nuvole dei pensieri. Se siamo la nuvola insieme al pensiero non abbiamo la possibilità di fare quel famoso passo indietro. 

Mi chiedo come sto. Posso avere subito o no la risposta o l’emozione, ma poi la cerco nel corpo, cerco le sensazioni di quell’emozione nel corpo senza volerla modificare, senza volerla aggiustare, senza volerla superare. Mi do lo spazio per sentirla nel corpo e poi mi dico Io mi sento così e va bene che io mi senta così. Questo non significa che le emozioni spariscano o che i nostri pattern o i nostri nervi scoperti improvvisamente si risanino. Significa però che diventiamo meno reattivi, che abbiamo una maggior capacità di resilienza e di ripresa. 

Proviamo a domandarci di nuovo Come sto ora? Lasciamo emergere eventuali risposte che vanno a pescare nella nostra mente cognitiva e poi cerchiamo quelle emozioni nel corpo.
Proviamo poi a dire ad alta voce Io mi sento [triste, stanc*, confus*, ansios* …] e va bene così. Mi do il permesso di sentirmi [triste, stanc*, confus*, ansios* …]. Rimaniamo in ascolto di quello che c’è. Se è un processo nuovo, ci vuole tempo per interiorizzarlo, per dare fiducia al processo stesso. Il Buddha diceva sempre di non credere semplicemente alle parole ma di testarle. Provate a testare questo su di voi, portando l’attenzione a quando siete risucchiati dal loop del bypass emotivo, quando ci diciamo che non dovremmo stare così, quando giudichiamo l’emozione o quando sentiamo che c’è qualcosa che sfriccicoriccia e quindi corriamo a fare qualcos’altro. Quello è il  nostro insight di consapevolezza all’interno della realtà di tutti i giorni. Quello è il momento in cui possiamo scegliere di ripescarci dal nostro schema abituale e provare qualcosa di diverso, qualcosa che sia Ok, vediamo cosa succede adesso, se do un nome a questa cosa e se la sento nel corpo e se mi dico Io mi sento così e ho tutto il diritto di sentirmi così.

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