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Non sono mai abbastanza

Non sono mai abbastanza

Meditazione guidata n°43

Questa sera vorrei partire dalla sensazione e dai pensieri connessi al Non sono mai abbastanza.
Cosa succede nel corpo sentendo queste parole. La sensazione di non essere adeguati. Per qualcuno potrebbe essere una sensazione molto vicina. Qualcun altro potrebbe riconoscerla ma sentirla lontana. Quello che vi chiedo è di non analizzarla cognitivamente, ma di sentire nel corpo che cosa emerge all’idea di non essere abbastanza.

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Quello che vi invito a fare come sempre all’inizio della pratica è prendere consapevolezza del corpo e della sua posizione. Possiamo chiudere gli occhi e portare l’attenzione al corpo, alla forza di gravità a al peso che lentamente scivola verso il basso. Durante la meditazione cerchiamo di mantenere una respirazione profonda, quindi inspiriamo gonfiando la pancia ed espiriamo sgonfiando la pancia. A ogni espirazione sento il corpo che, guidato dalla forza di gravità, si lascia andare, si lascia spingere verso il basso. Lascio andare le tensioni del viso, degli occhi, della fronte, della mascella. A ogni espirazione rilasso i muscoli del viso. Inspiro gonfiando la pancia e nell’espirazione rilasso i muscoli del collo e delle spalle. Inspiro gonfiando la pancia e lascio andare i muscolo delle braccia, della schiena, della pancia. Mi lascio trasportare dalla forza di gravità, mi lascio condurre e rilassare. Lascio andare le tensioni dal bacino, dalle gambe, dalle ginocchia, dai polpacci, dai piedi. A ogni respirazione porto l’attenzione al corpo, ai punti di contatto che grazie alla forza di gravità sento in maniera più decisa, più netta. Naturalmente ci sarà qualche pensiero, qualche dubbio, qualche domanda, qualche cosa che è rimasta da fare durante la giornata: a ogni espirazione immaginiamo di lasciar fluire questi pensieri e torniamo al corpo, torniamo alle sensazioni dei punti di contatto. 

Meditare è richiamare la presenza. La nostra mente è abituata a lavorare, a pensare, a produrre, a collegare informazioni. Questo è lo spazio in cui la alleniamo a un sentiero nuovo, che è quello di lasciar andare e stare, stare nel presente, stare nel corpo. Ci affidiamo ai sensi, ci affidiamo a quello che arriva dal corpo piuttosto che a quello che arriva dalla mente. Non c’è meglio o peggio, c’è solo uno spazio, questo, in cui ci apriamo a renderci conto di quello che c’è. Il primo momento di ogni meditazione, ma anche la prima parte del percorso di un meditante, è semplicemente questo: tornare, tornare al qui e ora, tornare al corpo e acquietare la mente, prendere dimestichezza con la tendenza ai pensieri e a quanto questa tendenza ci porta via da questa quotidianità in mondi che sono ipotetici. Ogni volta che riconosciamo un pensiero, ci diamo una metaforica pacca sulla spalla e poi torniamo al corpo, torniamo alla respirazione, torniamo a essere presenti adesso in questo momento. Inspiro gonfiando la pancia, espiro sgonfiando la pancia. 

Notiamo cosa succede quando la voce si interrompe e rimaniamo noi nel silenzio. 

La pratica di tornare al respiro e al silenzio è una pratica che richiede addestramento, richiede tempo, richiede anche coraggio, perché i pensieri sono molto spesso appiccicosi e siamo così abituati a seguirli e a far seguire ai pensieri altri pensieri e altri pensieri ancora, che ci vuole coraggio a fidarsi di lasciarli andare durante la pratica. Più mi addestro in questa meditazione, più posso riconoscere quando nella vita mi sto facendo trasportare da pensieri, altri pensieri e altri pensieri ancora e posso richiamare la mia mente al momento presente, a lasciar andare tutte quelle preoccupazioni o quelle ansie o quei rimpianti o quei dubbi o quei lavorii mentali e tornare nel presente, perché quello che accade molto spesso è che crediamo profondamente a quello che pensiamo e diventa la nostra realtà. Eppure un pensiero è semplicemente un pensiero. Non è ciò che siamo, è solo una nuvola che passa nel cielo in quel momento. La mente del meditante è la mente che riesce a essere cielo e a non farsi catturare dalle nuvole. Molto spesso ci sono dei pensieri che in un modo o nell’altro sono ricorrenti nella nostra vita: degli schemi, dei ritorni, come se una nuvola fatta più o meno simile passasse più volte sul nostro cielo. Più riusciamo ad accorgerci delle nuvole che passano spesso, più abbiamo la possibilità di distaccarcene. Non perché così siamo più freddi, ma perché così recuperiamo uno spazio di azione, di osservazione. 

Questa sera vorrei partire dalla sensazione e dai pensieri connessi al Non sono mai abbastanza.
Cosa succede nel corpo sentendo queste parole. La sensazione di non essere adeguati. Per qualcuno potrebbe essere una sensazione molto vicina. Qualcun altro potrebbe riconoscerla ma sentirla lontana. Quello che vi chiedo è di non analizzarla cognitivamente, ma di sentire nel corpo che cosa emerge all’idea di non essere abbastanza. La sensazione di non essere abbastanza può essere scatenata da qualcosa che accade fuori, da qualcosa che ci viene detto o da qualcosa che ci diciamo. Magari c’è un ambito in cui non ci sentiamo abbastanza, o una situazione in cui una frase o una persona o una circostanza ci fa scattare dentro questa sensazione. Questo non essere abbastanza ha a che fare con uno dei bisogni primordiali dell’uomo, che è quello di sentirsi accettato, con il desiderio di essere amati, con il desiderio di appartenere. Il bisogno di essere amati o il bisogno di soddisfare il nostro senso di appartenenza è comune a tutti noi, è una necessità quasi primordiale che fa parte della nostra sopravvivenza. Il senso di appartenenza non è sinonimo di integrazione: l’integrazione ha a che fare con fare, comportarsi o dire ciò che sappiamo ci fa sentire integrati. Il senso di appartenenza è qualche di ancora più profondo, che ha proprio a che fare con l’essere, con la possibilità di mostrarci in maniera autentica all’altro e di sentirci in connessione. 

Cosa succede quando sentiamo di non essere abbastanza, quando ci vergogniamo di come siamo, quando vorremmo essere accettati? È importante osservare i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre sensazioni che hanno a che fare con questi aspetti, con la sensazione di non essere abbastanza, perché quando riconosciamo sensazioni come queste, come la vergogna, come il voler tanto tanto far parte, possiamo anche mettere in luce che cosa si muove in noi e come cerchiamo di soddisfare questo bisogno primordiale.
C’è chi si ritira, si allontana, si nasconde. Mi sento di non essere abbastanza, mi vergogno di me, scappo, quella cosa non la voglio vedere.
C’è chi compiace, si modella in base alle aspettative altrui, si integra mascherando parti di sé o scegliendo ciò che gli altri vorrebbero che scegliesse, perché soddisfa il desiderio di essere parte, quella voglia, quel bisogno primordiale di appartenenza, tanto da rinnegare parti di sé, da allontanarsi da parte di sé.
C’è chi prova vergogna, prova paura, prova questo senso di non appartenenza e quindi di non essere amat* e reagisce con aggressività, cercando di provocare nell’altro questo stesso stato di paura e insicurezza. Queste sono tutte reazioni, che ci mostrano quanto siamo connessi e a volte dipendenti da cosa gli altri pensano di noi. 

Poi c’è un altro aspetto. Se è vero che demandare agli altri la possibilità di amarci, farci sentire di appartenere significa perdere il contatto con noi, è anche vero che non sempre pensiamo di meritare quell’amore o di meritare di provare quel senso di appartenenza. Questo, spesso, si maschera in pensieri come Sarà degno di amore quando perderò dieci chili, sarò degna di amore quando farò un figlio, sarò degno di amore quando troverò quel tipo di lavoro. Costruiamo un elenco di prerequisiti per noi stessi. Tutto questo però ci porta a vivere costantemente con la paura di non essere abbastanza, con la ricerca della approvazione altrui per sentirci di appartenere, compiacendo, scappando, attaccando. Così portiamo avanti un senso di disconnessione. Per esaudire questi desideri primordiali dobbiamo prima passare per l’auto-accettazione, dall’accoglierci così come siamo, dall’amarci così come siamo, dal sentire che siamo degli di amore così come siamo. Prima di chiedere all’altro di amarmi, devo recuperare l’amore per me, il valore che ho, la mia storia, la mia autenticità e credere che la mia storia, la mia autenticità, valga e sia degna di amore. Questo significa anche recuperare un contatto con la vergogna, con la paura, con la sensazione di non essere abbastanza perché è importante contattare queste emozioni e trovare lo spazio per chiederci Di che cosa ho bisogno ora? Come posso prendermi cura di me? 

Adesso lasciamo che questi minuti facciano sedimentare queste parole. Non cercate soluzioni o spiegazioni. Può esserci anche solo un respiro, un respiro che nasca dal desiderio di coltivare l’amore per noi, coltivare uno spazio in cui siamo degni di essere amati così come siamo innanzitutto da noi. 

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