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Non mi piace meditare

Non mi piace meditare

Approfondimento n°12

Quando iniziamo a meditare è normale pensare di “non essere capaci” perché ci sembra impossibile stare qualche minuto in assenza di pensieri. O fermi. O con il silenzio.

Sfatiamo il primo “mito”: la meditazione non è assenza di pensiero, è consapevolezza di pensiero. L’idea non è quella di eliminare i pensieri (o le emozioni) ma quella di osservarli senza giudicarli e senza farci tentare dal desiderio di seguirli.

Il solo accorgerci che ci siamo distratti significa che siamo sulla strada giusta!

Leggi la trascrizione della puntata

Mi ricordo che ormai dieci anni fa, come vola il tempo, avevo iniziato a girare per monasteri, parlare di meditazione a casa, cercare di costruirmi la mia pratica personale. Un giorno mia mamma mi dire Sei sicura di questa cosa che stai facendo? Perché sinceramente non mi sembra che tu stia meglio di prima, anzi, mi sembra che tu stia peggio. Io ricordo quel momento. Un po’ mi ha toccato sentire questo tipo di pensiero, però non ho vacillato: era come se me lo aspettassi. Non riuscivo ancora a dare forma, a capire perché stava succedendo. Sentivo che era normale ma non sapevo spiegarlo a parole… è stato un mix strano. È stata una bella botta sentirselo dire così.

Adesso che sono passati tanti anni e che ho continuato per molto tempo e continuo ancora a stare un sacco male (perché non si finisce mai), mi sono resa conto che all’inizio ci si avvicina alla meditazione di solito perché qualcosa non va o perché ci si sente a disagio o perché si cerca una strada per stare meglio, per sentirsi più vicini a se stessi e per conoscersi. Il mio forse è stato un avvicinamento un pochino più casuale, se vogliamo usare questo termine, ma effettivamente stavo peggio. È vero che la meditazione dà sollievo e un po’ aiuta, però nei primi momenti ha un’altra funzione, quella di mettere ancora più in luce il disagio, mettere a fuoco quello che non va. Non in senso psicologico: non aiuta a spiegare il disagio nel senso di comprensione intellettuale, ma ti porta a metterlo a fuoco nel senso di percepirlo, sentire ancora di più tutta questa fragilità e questa vulnerabilità. È un po’ come la storia di quel monaco che dice Praticare o ascoltare la mente è un po’ come pulire il pavimento: più lo pulisci più emerge il nero, lo sporco. Ci sta prima si viva in una fase di quiete o pseudo-quiete apparente. Quanod poi si comincia a sondare il terreno, ad ascoltarsi, si scopre che non c’è poi così tanta quiete, anzi, ascoltando sempre di più emergono cose che sono sempre più scomode. È qui che probabilmente molte persone vacillano. Le strade sono due: o decido di fidarmi di questo cammino che ho percorso, immagino che ci sia un motivo e affronto con fiducia questo disagio che emerge; o semplicemente abbandono il percorso perché non vedo miglioramenti, anzi, mi sento ancora peggio di quando ho iniziato perché mi aspettavo che succedesse qualcosa o che io diventassi in un certo modo o che anche per me la meditazione funzionasse. È una riflessione che ho fatto spesso ultimamente perché mi è capitato di leggere o confrontarmi con alcune persone che abbandonano la pratica formale e l’ascolto di sé perché è scomodo, perché si annoiano, perché proprio non riescono. Si preferisce fare altro, pulire casa, ascoltare… Va bene: non c’è giusto o sbagliato e ognuno si avvicina con i propri tempi e i propri modi a quello che sente fargli bene.

Quello che vorrei sottolineare, e che spesso è all’origine di tanti fraintendimenti, è che è normalissimo, soprattutto all’inizio, stare in meditazione e non starci bene. Probabilmente quando si arriva a praticare sul cuscino con la tranquillità e con la pace di dire Che venga quel che venga, lì già se n’è fatta di strada. Abbandonare subito e pensare Questa cosa non fa per me perché io ho bisogno di muovermi, perché io ho bisogno della musica, perché io ho bisogno di fare qualcosa di più creativo è una resistenza che ha la nostra mente, un modo che abbiamo per non affrontare nella quiete e nel silenzio quel disagio, quella situazione o quella sofferenza. Va bene se decidiamo che non è il nostro momento per affrontarla ma rendiamoci conto di questo, rendiamoci conto che c’è una resistenza, rendiamoci conto che forse non è la meditazione a non essere adatta ma effettivamente è faticosa. Se mi avvicino pensando sia la tecnica magica per dormire e per rilassarmi, mi scontro con la realtà (cioè che la meditazione è tutt’altra cosa): è un atto di coraggio e di estremo amore per sé; quindi abbandono, faccio qualcosa di più divertente.

Ricordo che c’è stato un periodo all’interno di questi dieci anni in cui a un certo punto per me era diventato troppo complicato sedermi a meditare. Stavo troppo male, non riuscivo. Ricordo che invece di meditare facevo yoga. A un ritiro poi ne ho parlato con un maestro dicendo Faccio veramente fatica ultimamente, è un periodo in cui proprio non riesco a pensare di stare ferma sul cuscino, piuttosto pratico yoga. Mi ha risposto in una maniera molto utile per me: Va benissimo, pratica yoga, lo yoga è comunque una forma di meditazione perché rimani in contatto con il corpo e il respiro, calmi la mente, è una pratica che permette di concentrarsi e saggiare il qui e ora. Però non dimenticarti della parte formale, non tanto perché si chiama formale e quindi è da fare ma perché quella è lo step successivo in cui, dopo aver calmato la mente (si può fare con tantissime pratiche tra cui lo yoga), ci si prepara per la vipassana per osservare quello che c’è, per lasciar emergere. Non volevo affrontarlo quel momento, mi faceva troppo male, mi sentivo troppo agitata. Lui mi ha detto semplicemente Osserva questa cosa e prova a vedere se alla fine della tua pratica di yoga riesci ad aggiungere un minuto, due minuti, tre minuti. Ascoltati.

Io mixavo anche con la scrittura, mi piace molto scrivere e trovo che sia un bellissimo strumento per focalizzare l’attenzione. Il maestro però mi disse C’è poi il momento in cui semplicemente ascolti ed emerge quello che c’è senza che sia veicolato da niente. Non dimenticare quel momento, non bypassarlo, perché è lì che scopri cosa c’è e come stai. Per questo i momenti di silenzio e quindi le meditazioni che non sono guidate (lo dico andando contro quello che faccio), i momenti in cui fermo tutto, in cui non pratico yoga, non cammino, non coloro, non scrivo, non leggo ma sto sono fondamentali, non possiamo prescindere da quei momenti. Non è la stessa cosa. Posso decidere di fare un’attività rilassante, di fare qualcosa per calmare la mente, di entrare in contatto magari con il respiro, con il corpo, che è preziosissimo, ma sarebbe auspicabile non fermarsi lì, non fermarsi a quel momento ma darsi l’occasione di arrivare con mente calma e serena all’ascolto profondo. Alcune volte non è semplice da soli, è per questo che esistono anche gli incontri individuali, gli incontri in cui qualcuno ti aiuta a fare questo tipo di percorso di ascolto. Per me è importante parlarne perché mi spiace quando leggo Non sono portata per la meditazione formale oppure Tutti pensano che si debba meditare così ma puoi meditare anche colorando, scrivendo… Sono cose che dico anche io. Per darsi la possibilità di fare degli step graduali che sono importantissimi e fondamentali ci sono tantissime strategie, tecniche e modalità. È chiaro che se viviamo sparati a mille  e poi pretendiamo di arrivare a praticare mezz’ora in silenzio stiamo cercando di fare dei salti invece che progredire pezzo dopo pezzo in maniera equilibrata. Non perdiamolo di vista quel pezzo di silenzio e di ascolto puro. Diamoci il tempo, accogliamo le nostre esigenze come io ho accolto per un lungo periodo di non riuscire a stare sul cuscino. Non giudichiamoci per questo, non pensiamo Io non sono adatta  oppure Vado a cercare le alternative perché io quella cosa non la so fare. Siamo tutti in grado di meditare. È solo che è faticoso, fa stare peggio soprattutto all’inizio, anche se di solito ce la raccontano come la favola dell’uomo vestito di bianco sotto l’albero che contempla la pace dei sensi. Il percorso è un po’ meno idilliaco ma possiamo comunque vederlo e tenerlo come percorso per noi, senza vivere il fatto che sia scomodo come qualcosa di strano o come il segnale che non fa per me. Questo mi spiace. In realtà, il fatto che emerga la frustrazione, la scomodità, la noia è bellissimo e prezioso, vuol dire che stai vedendo qualcosa di te, che nel momento in cui chiedi alla mente di fermarsi vengono fuori tutti i motivi per cui la mente non vuole fermarsi. Se uno riesce a vedere e vivere quelle sensazioni non come una colpa, perché dovrebbe meditare sentendo delle cose, ma come un’occasione per osservarsi con un sorriso e leggerezza (perché questo è secondo me l’ingrediente magico) e non con giudizio, lì veramente si apre un mondo. Se invece mi sento frustrato, mi annoio, sento che sto perdendo tempo e mollo cercando qualcosa di più adatto… mi spiace, perché basterebbe solo guardare tutte quelle sensazioni e quelle emozioni che emergono con degli occhi diversi, cambiando un po’ prospettiva, osservando i giochi della mente, osservandoli semplicemente per quelli che sono senza agganciarci giudizi, pensieri o aspettative varie.

Ci vuole un po’ di fiducia nella pratica e nella possibilità di stare bene senza che questo dipenda da come mi sento o da quello che accade o dalle circostanze che vivo. È complicato, me ne rendo conto, e sicuramente ci piacerebbe arrivare subito al momento in cui questa fiducia è matura e interiorizzata. Però è più importante procedere nella giusta direzione con piccoli passi senza cercare grandi risultati allenandoci poco poco ma giorno dopo giorno. Magari se amate dipingere, cantare, ballare e scrivere, perfetto, fatelo sempre perché se vi nutre e vi fa stare bene è prezioso (io ballo spesso dance anni 90), ma non scansate completamente il pezzo in cui ci si siede un minuto o due minuti e si vede quello che c’è. Soprattutto non affanniamoci a cercare i grandi risultati perdendoci di volta in volta i piccoli passi che stiamo facendo.

Mi piacerebbe concludere con le parole di santa Teresa di Lisieux:
Va bene così.
Siamo visitati dal dolore, va bene così.
Siamo visitati dalla noia, va bene così.
Siamo visitati dall’impazienza, va bene così.

Più coltiviamo questo va bene così, più lasciamo andare aspettative, idee, giudizi e più semplicemente impariamo a stare e ci diamo la possibilità di essere a casa in ogni luogo.

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