fbpx

347 4669023

Via Madama Cristina 99, Torino

Sentirsi a casa

Sentirsi a casa

Approfondimento n°13

Ognun* di noi cerca un luogo in cui sentirsi a casa, al sicuro, bene con se stesso. Magari qualcuno lo fa cercando di abbellire la situazione che sta vivendo, qualcun altro non riesce a sentirsi a casa perché paragona il luogo attuale con il passato o con un futuro idealizzato…

Leggi la trascrizione della puntata

Penso che sia innegabile che ognuno di noi ha piacere e cerca una vita in cui sentirsi al sicuro, in cui stare bene con se stesso, sentirsi a proprio agio, sentirsi a casa. Ovviamente ognuno di noi, nella propria vita, cerca di sentirsi a casa in tanti modi diversi. Cerca magari di abbellire la situazione che ha e che sta vivendo manipolando magari la realtà, cambiando qualcosa, cercando di assecondare questa ricerca di posto sicuro. Oppure, al contrario, in questo sforzo di abbellimento della realtà in cui viviamo, finiamo sempre per ricreare o ricercare stati d’animo o situazioni che ci siano familiari, perché quelle rientrano nella nostra comfort zone, quelle diventano uno spazio che conosciamo, che riusciamo a gestire. Soprattutto se queste emozioni o situazioni non sono così facili, potrebbe non essere semplice, potremmo andare a ripescare emozioni o situazioni difficili che però ci fanno sentire in qualche modo a casa. Oppure, assolutamente non ci sentiamo a casa, non ci sentiamo al sicuro e facciamo di tutto per non stare dove stiamo e quindi ci rifugiamo nel passato, nella malinconia, in quello che era, nei bei tempi andati. Facciamo di tutto per contrapporci e quindi per fare resistenza e giudicare la realtà in cui viviamo paragonandola al passato, a quello che era, andando a rifugiarci in quel posto sicuro, che ovviamente non c’è più. Alcune volte questo posto sicuro non è nel passato, ma diventa un ideale, un ideale nel futuro ad esempio e quindi la realtà viene continuamente comparata con questo ideale che mi sono costruito/a nella testa e continuiamo a giudicare la realtà, quello che proviamo, perché abbiamo in testa un’idea di quello che dovremmo provare. Allora lì nascono le reazioni di serie A e reazioni di serie B, emozioni di serie A ed emozioni di serie B. “Se è successo questo dovrei sentirmi così, invece non mi sento così e quindi…” Sono tutte costruzioni della nostra testa che anche solo a parlarne adesso mi affaticano. È tantissima energia che usiamo in questo continuo paragonare, in questo continuo pensare, in questo continuo sentirci anche delegittimati dalla possibilità di vivere quella vita ideale, quei sentimenti ideali che ci siamo costruiti nella testa. Poi c’è anche la via dello stare e quindi di entrare pienamente in contatto con la realtà così com’è: non sfuggo indietro, non sfuggo avanti, non manipolo, non cambio, non aggiusto, ma rimango con la mia energia, tutta centrata nel rimanere nel tempo presente, con quello che c’è, così com’è, senza giudicarlo. Lo diciamo sempre, però non è facile obiettivamente perché vorremmo stare bene. Se non stiamo bene, scalciamo metaforicamente perché siamo abituati a cercare la strada facile, la strada allettante. Perché dovremmo stare in quella scomoda, in quella meno battuta. C’è il fascino di quest’altro ideali in cui va tutto bene, in cui è tutto meraviglioso e ci attira, ci attrae. Sono dei meccanismi normali che abbiamo probabilmente tutti noi, ma che, allenando la consapevolezza e l’attenzione, possiamo in un certo senso smascherare e smascherare con il sorriso, con il “Ma no, eh, cosa stai facendo?” in un rapporto un po’ bonario, un po’ scherzoso con quelli che sono i meccanismi della nostra testa. Soprattutto, ci possiamo accorgere che sì, ci sono i momenti di sconforto in cui lì non ci vogliamo stare e poi in momenti in cui riusciamo a starci con quel presente e con quella realtà, senza fatica. Magari prima non li apprezzavamo o non riuscivamo a coglierli questi momenti. Quindi, è vero che la consapevolezza ogni tanto è una spina nel fianco perché ci fa vedere tutto quello che abbiamo faticosamente cercato di nascondere sotto i tappeti o giù in cantina e più diventa un’occasione. Più io lo faccio con il sorriso e con la gratitudine di poter vedere quello che emerge, più è facile stare, rimanere con la propria realtà così com’è e sentirsi a casa senza dover scappare nel passato, proiettare un futuro ideale, cambiare le cose, ma semplicemente qualsiasi cosa succeda, mi rilasso, sono a casa perché sono in contatto con me, sono vicino a me, non sono distante, cosa che invece spesso succede, soprattutto se neghiamo quello che proviamo o quello che viviamo perché dovremmo vivere o provare qualcosa di diverso. Ovviamente, dobbiamo ricordarci che, come tutte le cose, ci va tempo, ci va misura, ci va pazienza, ci vanno i sorrisi. Non dobbiamo scappare subito con la testa in fondo al percorso e dire “Eh, io guarda quanta strada devo ancora fare perché non ho accettato manco che oggi piovesse” perché ovviamente la nostra mente ha bisogno di abituarsi a un atteggiamento che sia di attenzione non giudicante al presente e si fa a poco a poco, si fa, ad esempio, iniziando a osservare questa compulsione che abbiamo a giudicarci e a giudicare. Ci vuole tempo perché prima me ne accorgo, mi accorgo dopo il giudizio. Me ne accordo e dico “Ah, guarda, ho fatto questa cosa in effetti… Oh, sto paragonando…” Pian piano, con calma, più mi accordo di questa cosa, più posso entrarci il relazione e magari fermarmi un passo prima. Sicuramente questo ci aiuta a non identificarci con questi pensieri o anche con i giudizi che abbiamo verso noi stessi. Prima ci accorgiamo che ci giudichiamo e poi, pian pianino, prendiamo le distanze da quel giudizio, invece di prenderlo, farlo nostro, farlo diventare completamente solido. E di lì, piano piano, cominciando dalle piccole cose, cominciamo ad alimentare un modo di approcciarci alla nostra realtà che non sia di completa avversione al momento presente, rivendicando il nostro diritto a essere da un’altra parte, a fare un’altra cosa, ma cominciando semplicemente a lasciar andare tutte queste elucubrazioni mentali e a mantenerci nel mondo del reale, non in quello fatto di opinioni e di concetti, dove non c’è poi più spazio per noi, per il contatto con noi. Siamo completamente nella testa, siamo preda della nostra parte razionale e molto meno della parte del cuore, della pancia, del corpo. Siamo fatti anche di questo. Anzi, portare l’energia verso il basso e non sono sulla sommità del capo è proprio quello che ci aiuta a radicarci nel momento presente. Nella pratica tradizionale si parla di Nibidda, o sereno disincanto, che avviene quando riusciamo a non farci più incantare, affascinare, attrarre dalla continua ricerca delle cose piacevole e dal continuo respingere quelle spiacevoli, ma riusciamo a approcciarci con sereno disincanto alla realtà, a tornare al centro e a coltivare ciò che veramente può darci completezza, un senso di casa, un senso di radicamento, un senso di essere al sicuro con noi e con gli altri. Non dobbiamo lasciarci scoraggiare dal fatto che, se io non mi sento mai a casa, mi devo già immaginare in completa pace e nirvana e se non è così non ha senso che io continui, perché andiamo a sminuire il percorso. Si inizia dalle piccole cose, non si inizia dai macro-temi. Ci vuole una sollecita attenzione non giudicante a iniziare ad affrontare il problema delle piccole sofferenze, quelle quotidiane, quelle che noi ci creiamo attraverso i nostri pensieri, i nostri atteggiamenti, attimo dopo attimo. Non devo meditare sulla morte, sul superamento del lutto, e poi magari dimenticarmi di quanto sia importante prestare attenzione ai miei pensieri mentre sto guidando e magari urlo contro l’altro automobilista. Si inizia dal piccolo, dalle piccole cose, nei piccoli passi si inizia a coltivare goccia dopo goccia la pace, il radicamento nel momento presente e soprattutto si inizia a praticare l’accettazione delle cose così come sono. Sono in fila, la cassiera davanti  è particolarmente lenta e perde tempo, osserviamo cosa succede partendo dal piccolo, dalla sofferenza della quotidianità. Molto spesso ci incastriamo andando a immaginarci questa dimensione assoluta di pace, realizzazione, calma e se non è così non ho fatto niente, non serve a niente, sto sbagliando tutto e torniamo a giudicarci, paragonando a un ideale che abbiamo in testa di come dovrebbero essere le cose, di che cosa dovrei provare e di come dovrei reagire. Un passo alla volta, spero che riusciate, e si riesca (comprendo anche me) a coltivare sempre di più, giorno dopo giorno, la fiducia nel porsi con quest’attenzione materna, non giudicante nei nostri confronti e nei confronti di tutte le emozioni o le situazioni che ci visitano. Ricordiamoci sempre sia la leggerezza, quindi il sorriso nell’osservare chi viene a farci visita, sia l’approccio da principiante: non facciamoci bloccare dalle idee che ci siamo già costruiti su di noi e sui nostri meccanismi ma osserviamoci giorno dopo giorno lasciando al passato quello che era nel passato, com’eravamo nel passato, quello che facevamo nel passato. Stiamo con quello che accade, stiamoci con la mente leggera, pulita, curiosa e felice, felice di avere l’occasione di poter vedere anche tutto il casino che siamo, che è comunque meraviglioso.

a

POTREBBERO INTERESSARTI ANCHE

Nessun commento

Scrivi un commento